Antonio (detto Punacci): tra gioco e dialetto

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Esperto di dialetto romagnolo sul quale ha scritto e pubblicato. I giochi che restano nel cuore sono quelli che si costruiscono da soli. La trottola: ricavata da una gamba del tavolo, si metteva un chiodo come punta, si faceva girare a frustate. L'aquilone: aiutati dai grandi per dargli la giusta legatura. I carrettini: fatti anche con le cassette, si usavano sia per gioco che per aiutare nel lavoro caricandoli con prodotti del campo. Per le fionde serviva qualche soldo per comprare la gomma dell'elastico. Da bambino si ritrovavano in gruppo e andavano al fiume a nuotare, poi è iniziato l'interesse per le ragazzine.
Gli anziani avevano il diritto di controllare i bambini e riferire ai genitori di eventuali comportamenti scorretti.
C'erano delle attività che erano sia giochi che lavoro: ad esempio la cattura dei passeri con le reti sulla risaia, poi li mangiavano o li vendevano ai ricchi per il tiro al passero.
In famiglia e a scuola l'educazione era severa, ma gli è sempre sembrato che con le bambine le maestre fossero più indulgenti.
I braccianti più poveri avevano il diritto di andare in pineta per raccogliere la legna, racconta un'avventura di quando ci andava con la sua famiglia e della forza delle persone.
Recita due sue poesie in romagnolo: una su fatti della vita quotidiana, l'altra sulla sua esperienza di prigioniero di guerra
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